Lavoro, per 1 italiano su 4 professione disallineata con gli studi

Un lavoratore su quattro in Italia svolge una professione che richiede una qualifica inferiore al titolo di studio posseduto, ma nei giovani tra i 25 e i 34 anni la quota sale al 37,5% e al 44,3% tra gli under venticinquenni. Questi alcuni dati che emergono dal Rapporto Censis-Ugl, presentato in occasione del Primo Maggio. Secondo lo studio, il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro genera disoccupazione, precariato, povertà e posizioni scoperte, penalizzando soprattutto i giovani che sempre di più scelgono di andare all’estero. Allo stesso tempo, però, le imprese dichiarano di avere difficoltà a rispondere ai loro fabbisogni occupazionali. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni è del 14,4%, mentre quello giovanile in senso stretto (15-24 anni) è al 23,7%, a fronte di un tasso medio dell’8,1%. Il 39,3% dei giovani che lavorano, oltre 2 milioni in valore assoluto, svolge lavori cosiddetti non standard perché a termine e/o part time, che non garantiscono la retribuzione e la stabilità necessarie ad avere un tenore di vita adeguato e, soprattutto, a fare progetti per il futuro. L’overeducation, vale a dire il mancato allineamento tra il livello di studi raggiunto e la professione svolta, in Italia riguarda un lavoratore su quattro ed è inversamente proporzionale all’età posseduta: è il 37,5% tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni e il 44,3% tra gli under venticinquenni. Il 93,5% degli italiani è convinto che gli stipendi sono troppo bassi. L’Italia è l’unico dei Paesi OCSE che negli ultimi trent’anni ha avuto una riduzione in termini reali delle retribuzioni del 2,9%. Negli ultimi dieci anni – secondo il Rapporto – oltre un milione di italiani si è trasferito all’estero: uno su quattro era laureato e uno su tre aveva tra i 25 e i 34 anni. Il fenomeno non è destinato ad esaurirsi: il 47,3% degli italiani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia, con percentuali che raggiungono il 60,6% tra i più giovani. Il 68,1% della popolazione pensa che l’Italia non sia un Paese per i giovani e l’88,5% è convinto che all’estero il lavoro sia pagato meglio e siano più valorizzate le competenze. Inoltre, mentre i giovani diminuiscono, i pensionati sono 14 milioni e 895 mila e nel 2040 saranno più di 17 milioni, con un aumento di 2 milioni e 246 mila pensionati. Il Pnrr stabilisce che i giovani siano una priorità trasversale a tutti gli interventi e prevede una crescita dell’occupazione dei 15-29enni del 3,2% nel biennio 2024-2026 e dello 0,5% in quelli successivi. Si affaccia sul mercato del lavoro la generazione più scolarizzata di sempre: il 76,8% dei giovani sotto i 34 anni è almeno diplomato (venti anni fa era il 59,3%) e il 28,3% è laureato (venti anni fa il 10,6%). Di qui al 2027 si prevede un fabbisogno di circa 3 milioni e 800 mila lavoratori tra settore privato (che assorbirà l’80,6% del totale) e Pubblica Amministrazione. L’85,9% degli italiani, che sale all’87,5% tra gli occupati, è convinto che la scuola sia distante dal mondo del lavoro. Pochi laureati, ma troppi nelle discipline umanistiche, della formazione e dell’insegnamento, del gruppo psicologico. Il prossimo anno – prosegue il Rapporto – mancheranno all’appello oltre 12.000 medici e laureati in professioni sanitarie, oltre 8.000 del gruppo economico e statistico, oltre 6.000 laureati STEM, oltre 3.000 laureati in discipline giuridiche e politico-sociali. Troppi diplomati nei licei, con un esubero di 53.000 l’anno, mentre mancheranno 133.000 diplomati degli istituti tecnici e professionali e qualificati nel sistema della formazione professionale. In futuro saranno sempre più richieste competenze trasversali. Il 65% dei posti di lavoro avrà bisogno di competenze green connesse al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, e il 56,3% dei nuovi posti avrà bisogno di competenze digitali. “Il destino del Paese è quello dei giovani con talenti e competenze, che devono essere utilizzati e valorizzati nel nostro mercato del lavoro. C’è bisogno di una nuova stagione di politiche di raccordo tra formazione e lavoro per il futuro economico, ma anche demografico dell’Italia”, afferma il presidente del Censis, Giuseppe De Rita. Per il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone, “ora che la pandemia è alle nostre spalle dobbiamo impegnarci con maggiore determinazione soprattutto a favore dei giovani, che fanno registrare una quota ancora troppo alta di disoccupazione. Come evidenzia in modo chiaro il Rapporto Censis-Ugl, nonostante la domanda di lavoro sia in aumento, i nostri ragazzi continuano a cercare fortuna all’estero, dove trovano retribuzioni più elevate e migliori condizioni lavorative. Ecco, allora, che occorre creare condizioni occupazionali più favorevoli, con l’obiettivo di trattenere la forza lavoro qualificata in Italia, recuperando le fasce marginali di giovani che non studiano e non lavorano, attraendo cervelli e manodopera dall’estero. Solo così, il nostro Paese potrà avere un futuro economico, sociale e demografico diverso”, conclude.
(ITALPRESS).
-foto xb1 Italpress-

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