Il Giappone Non Abolisce la Pena di Morte

Non tutti sanno che il Giappone è uno dei pochi Paesi del G7 in cui è ancora presente la pena di morte. Proprio su questo tema, però, il Giappone si è trovato a ricevere crescenti pressioni internazionali e dissensi all’interno del Paese stesso. Nonostante ciò, il governo ha deciso di non abolire la pena capitale. Giovedì scorso, Yoshimasa Hayashi, portavoce del governo, ha dichiarato che ‘la pena di morte è inevitabile per una persona che ha commesso un crimine estremamente grave e atroce’. Questa posizione è arrivata dopo che un panel di esperti, tra cui ex ufficiali di polizia e procuratori, aveva proposto di aprire un dibattito formale sull’eventuale abolizione della pena capitale.

La Proposta del Panel e la Questione dell’Errore Giudiziario

Il panel si è svolto a febbraio di quest’anno, ed è stato presieduto dal professor Makoto Ida dell’Università Chuo. In questa sede sono state evidenziate le problematiche del sistema giuridico giapponese, tra cui la lunga durata dei processi e il rischio di commettere errori irreversibili.

Questi dubbi non nascono per caso, ma sono emersi a seguito del caso di Iwao Hakamada. L’uomo, che ha compiuto 88 anni quest’anno, ha trascorso cinquantasei anni nel braccio della morte, dopo essere stato erroneamente accusato di un quadruplice omicidio avvenuto nel 1966. Hakamada è stato assolto in un recente processo di revisione, dopo che nuove prove hanno dimostrato la sua innocenza.

Questo errore giudiziario ha suscitato molti dubbi e preoccupazioni riguardanti un sistema in cui la maggior parte dei casi si conclude con una condanna. Al panel è stato anche fatto notare che risolvere un errore giudiziario richiede molto tempo, e ciò potrebbe comportare la morte di un innocente. Inoltre, è stato evidenziato che la pena di morte non solo non ha prove concrete di essere un deterrente contro i crimini, ma che non tutti i detenuti condannati a morte vengono eseguiti, e alcuni possono rimanere in attesa dell’esecuzione per decenni, proprio come è successo a Iwao Hakamada.

Le Condizioni di Detenzione dei Condannati a Morte

Una delle caratteristiche più cruente del sistema giapponese di pena capitale è la condizione di detenzione dei prigionieri condannati a morte. I detenuti sono rinchiusi in celle molto strette e sono sottoposti a regimi di isolamento severissimi. Non possono comunicare neanche con gli altri detenuti. Non hanno accesso a televisori, gli oggetti che possono ricevere sono pochissimi; ad esempio, possono avere al massimo tre libri, e le visite sono rare e strettamente monitorate. L’aspetto più inquietante della detenzione nel braccio della morte è che i detenuti non vengono informati della data della loro esecuzione. Dopo che la sentenza è stata approvata dal Ministero della Giustizia, l’esecuzione viene effettuata entro cinque giorni lavorativi, eccetto nei fine settimana o durante le festività nazionali. Il detenuto viene informato la mattina stessa che, poche ore dopo, si svolgerà l’esecuzione. La mancanza di comunicazione con il mondo esterno e l’incertezza sulla propria sorte portano molti a descrivere il regime di detenzione come una forma di tortura psicologica. Amnesty International ha condannato ripetutamente questa pratica, considerandola una violazione dei diritti umani, poiché essa causa sofferenza mentale inutile e si inserisce in un contesto di incertezze giuridiche e processuali.

Le Pressioni Internazionali e l’Isolamento del Giappone

Il Giappone è uno degli ultimi Paesi del G7 a mantenere la pena di morte, insieme agli Stati Uniti. La maggior parte dei Paesi industrializzati ha abolito la pena capitale, e l’Unione Europea ha imposto come condizione per l’accesso all’Unione l’abolizione della pena di morte. Nel 2023, secondo Amnesty International, 144 Paesi avevano già abbandonato questa pratica, mentre il Giappone continua a eseguire condanne capitali. Le pressioni internazionali, soprattutto da parte delle organizzazioni per i diritti umani, sono quindi sempre più forti, con l’Unione Europea che chiede ripetutamente al Giappone di rivedere la sua posizione sulla pena di morte.

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