L’11 marzo 2011 il Giappone è stato colpito da uno dei disastri naturali più devastanti della sua storia recente: un terremoto di magnitudo 9.0 al largo della costa nord-orientale ha scatenato un violento tsunami che ha travolto intere città e provocato la crisi nucleare di Fukushima. Di fronte all’emergenza, il Paese ha assistito a uno dei più sorprendenti paradossi sociali della sua storia contemporanea: la yakuza, storica organizzazione criminale giapponese, è scesa in campo per offrire aiuto.
Una risposta rapida e concreta
Nei primi giorni successivi alla catastrofe, diversi gruppi yakuza si sono mobilitati in modo tempestivo per fornire supporto alle aree colpite, spesso agendo in parallelo o addirittura prima dei soccorsi ufficiali in alcune località isolate. Tra i clan coinvolti figurano nomi noti come Yamaguchi-gumi, Sumiyoshi-kai e Inagawa-kai.
Le loro sedi vennero trasformate in centri di accoglienza temporanei, e tramite le proprie reti logistiche riuscirono a far arrivare tonnellate di beni di prima necessità: acqua potabile, cibo, pannolini, coperte, medicine. In alcuni casi, la loro capacità organizzativa si rivelò cruciale per raggiungere rapidamente luoghi difficili da contattare.
Un gesto altruista o strategico?
Questo coinvolgimento ha suscitato un ampio dibattito. Alcuni hanno visto nelle azioni della yakuza un raro esempio di umanità da parte di un’organizzazione notoriamente legata a estorsioni, traffici illeciti e corruzione. Altri, invece, hanno sottolineato come queste operazioni possano essere lette in chiave strumentale: rafforzare il consenso sociale, migliorare l’immagine pubblica e mantenere un rapporto di dipendenza o riconoscenza con le comunità locali.
Non è la prima volta che la yakuza interviene in situazioni d’emergenza: anche durante il terremoto di Kobe del 1995, il clan Yamaguchi-gumi si distinse per la distribuzione di aiuti ai residenti.
L’ambiguità morale del soccorso criminale
Il caso solleva una questione spinosa ma inevitabile: può un’organizzazione criminale colmare temporaneamente il vuoto dello Stato in tempi di crisi? Le autorità giapponesi hanno reagito con cautela e imbarazzo: accettare apertamente l’aiuto dei clan avrebbe significato legittimarne indirettamente la presenza sociale, ma allo stesso tempo non si poteva ignorare l’effettivo impatto del loro intervento.
Oggi, la yakuza è in netto declino, anche a causa delle rigide leggi antisociali introdotte negli ultimi anni, che ne hanno limitato drasticamente le attività economiche e pubbliche. Eppure, il loro ruolo nei giorni del terremoto del 2011 rimane un esempio scomodo e controverso di “solidarietà fuori legge”, che continua a far riflettere sulla fragile linea tra legalità, ordine e comunità.