In un’epoca di guerre intestine, spie e giochi di potere come quella del Giappone del periodo Sengoku, la figura del ninja è diventata un’icona del folklore e della cultura pop giapponese. Ma accanto agli shinobi maschili, meno nota ma altrettanto affascinante è la presenza delle kunoichi — donne addestrate a vivere nell’ombra, manipolare, raccogliere informazioni e, se necessario, colpire. Tra storia e leggenda, il loro ruolo resta ambiguo, sospeso tra ciò che è stato e ciò che forse non è mai esistito.
L’enigma dell’esistenza storica
Nonostante la popolarità delle kunoichi in romanzi, manga e serie TV, le fonti storiche che ne attestano con certezza l’esistenza sono scarse. L’unico documento che le menzioni esplicitamente è il Bansenshukai, un manuale ninja del XVII secolo. Qui viene descritta una tecnica, il kunoichi-no-jutsu, in cui una donna viene impiegata per missioni di infiltrazione e spionaggio. Ma la parola “kunoichi” stessa sembra essere un costrutto simbolico: combinazione grafica dei tratti che formano il kanji 女 (“onna”, donna), scritta come く (ku), ノ (no), e 一 (ichi). Un gioco visivo, più che una prova documentaria.
La vera esplosione del termine nella cultura popolare arriva nel XX secolo, grazie allo scrittore Futaro Yamada e al suo romanzo Ninpō Hakkenden (1964), dove immagina figure femminili ninja affascinanti e letali. Da quel momento, le kunoichi prendono vita nell’immaginario collettivo, anche se gli storici restano scettici.
Addestramento e tattiche
Contrariamente all’immagine hollywoodiana di donne in tutina nera pronte a scatenarsi in acrobazie, l’addestramento delle kunoichi – per come viene descritto nei testi e tramandato nel folklore – era molto diverso da quello dei loro colleghi maschili. Il loro punto di forza non era la forza bruta, ma la discrezione e l’inganno.
Specializzate nell’arte del travestimento, le kunoichi sapevano impersonare con disinvoltura ruoli sociali considerati marginali ma strategici: cortigiane, cameriere, danzatrici, miko (sacerdotesse shintoiste). In queste vesti potevano avvicinarsi alle élite, raccogliere informazioni, sedurre un bersaglio o persino assassinarlo con veleni nascosti in aghi, spille o unghie metalliche chiamate neko-te.
Il combattimento era riservato ai casi estremi, e prevedeva tecniche ravvicinate. Le armi predilette erano spesso oggetti quotidiani trasformati in strumenti di morte: ventagli con lame celate, sandali di legno usati come mazze, ombrelli come scudi. L’accento era posto sull’adattabilità e sulla capacità di colpire quando il nemico si sentiva più al sicuro.
Kunoichi celebri: tra leggenda e letteratura
Due nomi emergono tra le figure associate alla tradizione delle kunoichi, anche se il confine tra realtà e invenzione letteraria è labile.
Mochizuki Chiyome, secondo alcune fonti, fu una nobildonna del XVI secolo che, rimasta vedova di un samurai, fu incaricata da Takeda Shingen di organizzare una rete di spie femminili. Si racconta che reclutò orfane, vittime di guerra e prostitute, addestrandole non solo come spie, ma anche come sacerdotesse itineranti, capaci di muoversi liberamente nel paese. Tuttavia, la sua figura non è attestata da documenti coevi, e il suo nome appare per la prima volta solo nel XX secolo, in un’opera senza fonti storiche verificabili.
Un’altra figura avvolta nel mistero è Hatsume no Tsubone, donna della regione di Iga, il cuore tradizionale del ninjutsu. Avrebbe operato come agente doppia, passando informazioni tra Tokugawa Ieyasu e Ishida Mitsunari, con cui si dice fosse innamorata. Anche nel suo caso, però, le prove storiche sono inconsistenti, e la sua esistenza resta nel limbo delle leggende.
L’eredità culturale
Al di là della veridicità storica, il mito delle kunoichi continua a esercitare un fascino potente. Rappresentano un’immagine alternativa della donna giapponese rispetto allo stereotipo della moglie sottomessa o della madre devota. Sono l’incarnazione di un potere silenzioso, capace di sovvertire gli equilibri senza mai esporsi completamente.
Le kunoichi sono entrate nel linguaggio della cultura pop: dall’anime Naruto alle serie come House of Ninja, fino ai videogiochi e ai cosplay, queste figure femminili incarnano una femminilità letale e strategica, ancora oggi fonte d’ispirazione.
Una figura simbolica
Che siano esistite davvero o no, le kunoichi offrono una riflessione sul ruolo delle donne nei contesti di potere nascosto, dove l’intelligenza e la capacità di adattamento contano più della forza. Sono simboli di resilienza e ambiguità, di bellezza e pericolo, e rappresentano uno dei tanti volti che la storia — o il mito — può dare alle donne.
[Foto da Historihit.com]