ROMA (ITALPRESS) – L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, considerata la forma più comune di demenza senile dopo i 65 anni. Ha un decorso progressivo e in alcuni casi si manifesta in forma precoce intorno ai 50 anni. L’Alzheimer causa un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive principali, quali memoria, attenzione, ragionamento e linguaggio, compromettendo in modo progressivo l’autonomia delle persone che ne sono affette. Si valuta che l’Alzheimer colpisca circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 25% degli anziani con più di 85 anni. Il progressivo invecchiamento della popolazione generale, sia nei paesi occidentali che in quelli in via di sviluppo, fa ritenere l’Alzheimer e le demenze in generale un problema sempre più rilevante per la sanità pubblica. In Italia si considera che il numero totale di pazienti con demenza sia superiore a 1 milione, di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer. Le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari sono invece circa 3 milioni. Sono questi alcuni dei temi trattati dal professor Stefano Jann, specialista in neurologia, già coordinatore della divisione neurologica dell’ospedale Niguarda di Milano, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“Partiamo dal cervello del malato di Alzheimer: non sappiamo perchè succede, ma conosciamo le tappe del come si verifica – ha esordito – C’è un accumulo di betamiloide che forma placche senili, si accumulano a livello intraneurale una serie di fibrille, come dei grovigli all’interno del neurone che pian piano lo fa morire. Quelli legati all’accumulo di betamiloide sono un’esasperazione di processi normali di invecchiamento cerebrale, mentre l’accumulo di proteina Tau è invece correlato con l’Alzheimer in particolare”. Sui primi segni della malattia: “Il primo disturbo è il calo della memoria recente – ha spiegato – I malati di Alzheimer ricordano quello che è successo 20, 30 anni fa, ma fanno fatica su fatti di 5 minuti prima. E’ un disturbo però aspecifico, anche l’invecchiamento fisiologico comporta questo tipo di problema. Una difficoltà di accesso al lessico, quando fanno fatica a venire le parole, diventa sospetto solo se è ingravescente e interferisce con la qualità della vita nell’arco della giornata – ha precisato Jann – Non è il sintomo in sè, ma quanto questo impatta sulla qualità della vita, non solo per l’individuo ma anche per chi gli sta vicino”.
“Più la persona è colta e intelligente più si rende conto che qualcosa sta cambiando – ha aggiunto il professore – Tutto sommato oggi con le conoscenze che ci sono si accede spesso allo specialista. La fase intermedia della malattia, quando avremo una terapia eziologica, potremo utilizzarla per rallentare il progresso dell’Alzheimer”.
Come ampiamente riconosciuto, si tratta di una patologia che colpisce sì l’individuo, ma anche il nucleo familiare: “Non riguarda il singolo malato, ma coinvolge tutta la famiglia. Il servizio sanitario pecca molto, in tutto il mondo si investe meno sulla parte assistenziale e di più su quella eziologica, ma così le famiglie vengono lasciate sole – ha riconosciuto – Il consiglio è di appoggiarsi a dei centri in cui ci sono possibilità di aggregare i pazienti come caffè o villaggi Alzheimer, che sorgono allo scopo di sollevare la famiglia da questo peso”.
Infine, i consigli per provare a ridurre il rischio di contrarre l’Alzheimer da anziani: “La malattia non è genetica se non nel 2% dei casi, che sono quelli con l’insorgenza più precoce, negli altri casi può esserci predisposizione, come disturbi cardiovascolari, ipertensione, o quando il grado culturale è piuttosto basso – ha aggiunto Jann – La scienza ha dimostrato che una vita sana e un’attività sportiva riduce del 35% il rischio di sviluppare l’Alzheimer. Il consiglio come in molti casi è quello di una vita sana, di fare attività sportiva e di tenere sotto controllo la glicemia”.
– foto tratta da video Medicina Top –
(ITALPRESS).